“Le Bcc hanno un impatto positivo sui territori dove operano”, Augusto dell’Erba

Augusto dell'Erba
Augusto dell'Erba
I rapporti con i prenditori di credito, soprattutto i mutuatari, sono facilitati dalla vicinanza, perché ai dati numerici – cioè quelli oggettivamente rilevabili – si aggiungono le cosiddette soft information, ovvero quelle informazioni di natura qualitativa non classificabili con i semplici numeri.

“Diversi studi, anche i più recenti, sull’impatto positivo delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali sui loro territori, dimostrano come dove opera una banca di comunità cooperativa e mutualistica si riducano sensibilmente le disuguaglianze di reddito. Ciò è dovuto all’efficacia della formula mutualistica che consente a queste banche, costituite da soci, di impiegare almeno il 95% del totale dei crediti nel proprio territorio di competenza, proprio laddove il risparmio viene raccolto e innescando, così, un circuito virtuoso”, ha spiegato Augusto dell’Erba, presidente della Federazione Nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali, sul Corriere della Sera loro scorso 23 aprile. “I rapporti con i prenditori di credito, soprattutto i mutuatari, sono facilitati dalla vicinanza, perché ai dati numerici – cioè quelli oggettivamente rilevabili – si aggiungono le cosiddette soft information, ovvero quelle informazioni di natura qualitativa non classificabili con i semplici numeri (e che possiamo considerare elementi di base della «intelligenza relazionale»). Elementi che fanno la reale differenza, consentendo di erogare il credito a chi lo merita ed è capace di restituirlo.

“Le imprese cooperative – partecipative per eccellenza – e le banche di credito cooperativo, banche di comunità che hanno, nei loro Statuti, espressamente indicato tra i propri obiettivi anche «la scelta di costruire il bene comune».

Quando nel 1883, a 24 anni, Leone Wollemborg fondava la prima Cassa Rurale italiana a Loreggia (Padova) aveva ben chiaro come le disuguaglianze sociali ed economiche (l’accesso al credito negato a tanti) minassero la coesione sociale e la stessa convivenza pacifica. La leva della messa in comune dei risparmi, il controllo sociale nell’attivazione dei prestiti, l’innesco di processi di rivalsa sociale (sentirsi degni di fiducia) si dimostrarono in breve tempo elementi poderosi di inclusione e sviluppo dei territori.

In grado di accorciare quella distanza che sembrava incolmabile tra i «ricchi» e i «destinati» a restare – per una sorta di maledizione – in condizioni di inferiorità.

Wolleborg non avrebbe mai immaginato che, dopo 140 anni, quella intuizione (mutuata dalle prime Casse di Prestito di Raiffeisen in Germania) si sarebbe sviluppata fino a contrassegnare, in un Paese moderno come l’Italia, una componente essenziale dell’industria bancaria e che, soprattutto, le banche cooperative di comunità sarebbero state, con tutta evidenza, banche capaci di favorire lo sviluppo umano e sociale dei territori in una logica che oggi a buon titolo possiamo considerare «sostenibile».

 

 

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