Credito, tra banca e piccola impresa serve creare una nuova partnership

La Bcc al convegno di Confartigianato Varese indica la strada per guardare al futuro: occorre ripensare il rapporto tra gli istituti di credito e le aziende

13Impossibile oggi pensare ad un divorzio, anche se qualche imprenditore lo potrebbe anche auspicare. Davanti ad un rapporto tra banche e imprese che in questo ultimo periodo non è dei migliori, si impone una riflessione. Si impone la necessità di ripensarlo, andando a rivalutare le relazioni nell’ottica di una collaborazione e non solamente dell’erogazione di un servizio. Al centro di quella che possiamo definire come una “crisi” di rapporto tra gli istituti di credito e le aziende c’è il credito. Il momento di grande difficoltà economica ha generato un muro contro muro: un confronto serrato e talvolta cieco e sordo tra le richieste delle imprese e le necessità del sistema creditizio. Da una parte, infatti, chi fa impresa rivendica la necessità (e talvolta il diritto) di poter accedere al credito per poter guardare al domani: non solo fare fronte ai pagamenti, ma possibilmente fare quegli investimenti indispensabili per tenere il passo con il mercato. Dall’altra parte, le banche. Costrette a stringere i cordoni della borsa, applicare regole ferree per non restare in un momento particolarmente delicato sotto il profilo economico con il cosiddetto “cerino in mano”. Non è solamente un ragionamento dettato dai grandi gruppi, ma anche dalle piccole realtà, come la nostra Bcc, troppo spesso chiamate a fare i conti con i vuoti lasciati dalle aziende. Troppi i fallimenti, troppi anche i ricorsi ai concordati che hanno generato milioni di perdite. Per gettare lo sguardo oltre la crisi, la strada della sinergia è oggi un imperativo. Ma sinergia non è solamente parlare di reciprocità, ma anche rivedere l’intero sistema. Ovvero, ripensare il rapporto tra imprese e banche. Il messaggio non arriva solamente dalla nostra Bcc, ma è stato condiviso anche dalle associazioni territoriali come Confartigianato Varese. Così la nostra Bcc, nel rispetto di quella vicinanza al territorio che ha contraddistinto sempre la propria azione, non si è sottratta al confronto.

14E davanti ad un tema spinoso come quello del credito alle imprese, ha voluto metterci la faccia. Infatti, lo scorso 19 aprile il direttore generale della nostra Bcc, Luca Barni, ha partecipato al convegno organizzato da Confartigianato Varese e davanti a circa 170 imprenditori ha parlato di un nuovo rapporto tra banca e impresa, introducendo il concetto di partnership. «Adesso nella filiera produttiva deve entrare anche la banca. L’aspetto finanziario di un’azienda è fondamentale e, quindi, la banca è un fornitore strategico per l’impresa. Occorre allora dialogare con la banca per costruire una programmazione che porti l’azienda verso il futuro», ha spiegato Barni agli imprenditori. Davanti ad un dialogo che oggi è «piatto, quasi tra sordomuti», ha detto il direttore, occorre «fare un passo indietro; sia da parte della banca, sia da parte dell’impresa. Occorre fare una sana autocritica per ammettere gli errori del passato, per mettersi attorno a un tavolo e costruire il futuro». Infatti lo sforzo non deve essere quello di “salvare il salvabile”, ciascuno difendendo strenuamente le proprie posizioni, ma insieme lavorare per andare oltre la crisi. Si tratta di un’azione di responsabilità nel rispetto dei valori che hanno costituto la base e le capacità della nostra banca. Barni, nella sua analisi, non ha lesinato critiche ai sistemi. E ha chiesto che ciascuna parte, sia banca sia impresa, sappia mettersi in discussione. Partiamo dalle banche: «Queste hanno goduto di un sistema economico italiano “bancocentrico”, ne hanno sfruttato i benefici senza porsi il problema della correttezza del modello nel medio-lungo termine. Per lungo tempo, quindi, forse anche per ragioni storiche -vedi le Bin, ovvero le Banche di Interesse Nazionale-, il settore bancario è stato autoreferenziale e poco ha investito nel miglioramento dell’efficienza da riverberare sul cliente finale». Sul fonte delle imprese, «il problema più importante è stato quello di avere, finanziariamente, una visione “corta”, di breve periodo: anche negli anni della produzione di buona redditività, la stessa non è stata quasi mai lasciata in azienda. Il patrimonio è, metaforicamente, l’apparato muscolare dell’azienda ed oggi chi ne è sprovvisto soffre, a parità di condizioni con le altre aziende, molto di più. Alle problematiche strutturali si sono sovrapposte quelle attuali, pensiamo alla normativa bancaria europea unita alla crisi dell’economia reale. Nessuno lo dice, ma il sistema bancario nazionale solo nell’ultimo biennio ha spesato oltre 20 miliardi di perdite su crediti». Riprendere le fila di un rapporto in crisi, significa anche ripensare le modalità con cui gli imprenditori si affidano alle banche. Un solo esempio: il frazionamento del credito tra diversi istituti divide anche il rischio tra le diverse banche, ma non genera conoscenza e fiducia tra banca e imprese. Ha spiegato Barni: «Per le banche questa pratica ha significato una bassa propensione, forse meglio dire una bassa necessità alla conoscenza approfondita del cliente. Per l’impresa ha significato invece la possibilità di non divulgare, fino in fondo, le proprie caratteristiche intrinseche. 15I due comportamenti hanno quindi, di fatto, impedito l’emergere di una vera partnership, che avesse come obiettivo la crescita di entrambi. Crescita non solo in termini di volumi ma, soprattutto, di progettualità condivisa e codificata. La crescita degli anni Novanta e dei primi Duemila è avvenuta probabilmente perché il mercato cresceva e, forse, meno per la qualità e la competitività del proprio lavoro. Oggi i margini di redditività sono minimi per tutti, pertanto è necessario più che mai valorizzare la qualità all’interno di una filiera in cui cliente e banca diventino partner di uno stesso progetto: è questa la sfida principale del cambiamento». Difficile, però, parlare di qualità quando gli stessi imprenditori lamentano di non essere sufficientemente considerati dalle banche. Tra quanti intervenuti al convegno di Confartigianato Varese, molti hanno detto di “essere solamente dei numeri per le banche” e spesso di “non conoscere neppure il nome del funzionario che si occupava della loro pratica”. Denunciando anche le difficoltà nell’ottenimento di un credito. Il problema è, ancora una volta, di conoscenza. Come la conoscenza delle rispettive esigenze. «Molto spesso un’azienda chiede credito in prossimità dell’esigenza di copertura finanziaria: emerge quindi in modo evidente che alla parte finanziaria aziendale non viene dedicata la necessaria importanza», prosegue Barni. «Spesso, invece, avere o non avere le risorse finanziarie disponibili al momento giusto rappresenta la discriminante per l’avvio di un progetto. Se a ciò si aggiunge che la documentazione contabile non è aggiornata, allora il dialogo con la banca diventa ancora più difficoltoso. La piccola impresa è molto concentrata su produzione e vendita mentre, al contrario, il controllo di gestione è attività rara: ma quest’ultimo, associato ad un piano industriale e finanziario è esattamente lo strumento di “trasmissione” delle caratteristiche aziendali alla banca. Per la serie: “dalla testa dell’imprenditore” ad un documento spendibile nel sistema bancario». Serve una maggiore cultura aziendale. Ovvero, fare in modo che il complesso dei valori, delle conoscenze e delle caratteristiche specifiche di un’azienda possa tradursi in comportamenti coerenti e consolidati verso gli stakeholder aziendali, tra i quali c’è anche la banca. «I valori e le conoscenze, per essere mantenuti, hanno bisogno di progettualità a medio termine. La mancanza di progettualità e comunicazione/condivisione della propria cultura non facilita la creazione di un sistema: non vengono messe a fattor comune e valorizzate le diverse culture aziendali. Insomma, per tanti anni ha prevalso l’Io, ora è più che mai necessario il Noi».

17Questo cambiamento di prospettiva viene sottolineato anche dal direttore generale di Confartigianato Imprese Varese, Mauro Colombo: «Il rapporto tra impresa e banca deve entrare in una logica di collaborazione. L’impresa dovrebbe iniziare a considerare l’istituto di credito come un fornitore abituale; la banca dovrebbe dedicare sempre più tempo alla conoscenza della singola impresa per poter personalizzare al massimo la sua offerta in relazione ai bisogni individuali dell’imprenditore». Ecco allora che tra impresa e banca non serve solo un dialogo, ma una vera e propria partnership. Prosegue Barni: «I nostri imprenditori sono molto bravi a fare il loro mestiere ma, soprattutto quando raggiungono determinate dimensioni, non colgono l’importanza della gestione finanziaria dell’azienda. La banca deve diventare un partner coinvolto nella definizione e programmazione della gestione finanziaria aziendale. Quindi il primo passo da fare da parte dell’imprenditore è quello di scegliersi la banca di riferimento». E in questo, esiste il fattore territoriale che può facilitare la scelta. «La Banca di credito cooperativo, data la sua dimensione decisamente più piccola rispetto al resto del sistema bancario ed al suo radicamento territoriale, ha intessuto con l’economia locale un dialogo continuo che le ha permesso di conoscere più in profondità i propri clienti e farsi conoscere da tutto il territorio».

18Bolognini: «Tornare a parlarsi per comprendersi meglio»
In un sistema pieno di difetti, è necessario riprendere il dialogo tra impresa e banca. Non per rimescolare le carte, ma affinché «le due parti tornino a parlarsi e a comprendersi». Questo il messaggio che Fabio Bolognini, amministratore delegato di Linker srl, società di consulenza finanziaria per piccole e medie imprese, ha lanciato all’incontro “Impresa e banca: un dialogo sostenibile”, organizzato da Confartigianato Imprese Varese. «Il credito alle imprese non è solo domanda e offerta, ma una relazione composta da due processi tra chi (l’impresa) ha bisogno di finanza per produrre e crescere e chi (la banca) deve scegliere a chi dare fiducia per essere comunque rimborsato alla scadenza. Entrambi i processi sono largamente difettosi e la combinazione di recessione e mancanza di liquidità hanno messo a nudo i difetti. Pertanto le due parti devono ora darsi da fare nella modifica dei processi tenendo conto dei rispettivi vincoli: per le imprese la bassa redditività e l’eccessiva dipendenza dal debito bancario, per le banche la scarsità di capitale e la difficoltà nel valutare le reali prospettive di un numero enorme di piccole imprese. Il paradosso è che i difetti sono simili e si stanno sommando su larga scala». L’invito è a «prendere atto della situazione e prendere atto che si può cambiare per ricominciare su basi più chiare e concrete. Occorre agire, fare, provare, sperimentare prima di fare proclami». In quale direzione andare allora? «Le imprese non gestiscono bene il rapporto con le banche. Hanno spazi di miglioramento enormi; hanno necessità di farsi conoscere, di farsi frequentare dalle banche, di comprendere i meccanismi di funzionamento delle banche stesse per non restarne travolti. E devono fare tutto questo perché la situazione oggi lo richiede». Sul fronte delle banche il quadro non è roseo: «Anche le banche hanno difficoltà: attraverso Draghi, il governatore della banca europea, si dice che siano preoccupate a prestare soldi perché dicono che non sanno se li rivedranno indietro. Ma prestare soldi è il loro mestiere. Devono quindi fare credito, e devono farlo bene. Non devono fermarsi ai capannoni delle aziende o ai bilanci sempre così poveri di informazioni, ma reperire informazioni altrove per guardare alle prospettive delle imprese». L’azione deve essere rapida perché, secondo Bolognini, «una percentuale non banale di imprese è a rischio scomparsa. Non possiamo permetterci di dire che non ce la fanno più e lasciarle andare: dobbiamo fare di tutto e di più per salvarle».

PARRINELLOIgnazio Parrinello «La sottocapitalizzazione è il male delle piccole imprese italiane»
Un rapporto banche-imprese impostato a una maggiore trasparenza e credibilità e uno sforzo più convinto delle aziende a capitalizzarsi. È ciò che chiede Ignazio Parrinello, vice presidente vicario della nostra Bcc, perché i meccanismi virtuosi del credito alle imprese possano ripartire. «Le imprese italiane hanno un grave handicap, quello di essere poco capitalizzate. In Europa, in media, il 40% dell’attivo di un’azienda è costituito da mezzi propri, mentre in Italia lo è il 15%: le imprese hanno quindi una bassa dotazione di capitale e chiedono alle banche risorse che, in parte, dovrebbe conferire l’imprenditore. Guardando a questo fatto capiamo subito che la situazione del nostro Paese è un’anomalia e che il sistema non è sostenibile. Specialmente quando arriva una crisi: cosa che si è appunto verificata, drammaticamente, negli ultimi cinque anni». Da questo problema derivano quei 250 miliardi di crediti deteriorati su 1.950 miliardi di affidamento in totale nel sistema bancario italiano. «Questo si verifica –continua Parrinello– proprio perché è alto il grado di indebitamento delle imprese nei confronti degli istituti di credito, che ora considerano rischioso sostenere le imprese sottocapitalizzate».

BARNI_GIUSEPPEGiuseppe Barni «Banche e imprese devono dedicare più tempo e attenzione alla conoscenza reciproca»
«La stretta sui finanziamenti è un problema che mette a rischio l’attività di tante piccole aziende. È necessario quindi intervenire perché il rapporto tra banche e imprese venga impostato su basi nuove». È quanto sostiene Giuseppe Barni a margine del convegno su credito e sostenibilità voluto da Confartigianato Varese. Continua Barni: «Il dialogo fra le due parti deve senz’altro farsi più trasparente e arricchirsi di dettagli che vanno oltre le semplici cifre. Ciascuno deve dedicare alla conoscenza dell’altro più tempo e più risorse. Ciò che un imprenditore sempre teme, quando va in banca a chiedere un finanziamento, è di trovare dall’altra parte della scrivania qualcuno che lo tratterà solo come un numero. Qualcuno che si limiterà alla lettura dei bilanci che da soli, però, non danno un’idea completa dello stato di un’impresa e delle sue prospettive future». All’imprenditore il compito di presentarsi al meglio: «Dobbiamo essere bravi anche noi –Barni– a comunicare meglio quali sono le nostre idee, i nostri punti di forza e i nostri progetti; dobbiamo dimostrare, oltre i numeri, che siamo affidabili. Senza considerare gli istituti di credito come dei bancomat».

 

0 replies on “Credito, tra banca e piccola impresa serve creare una nuova partnership”