Dai nostri soci un campo da basket per chi ha un solo sogno: sopravvivere

Padre Maurizio Binaghi, missionario comboniano in Kenya, all’assemblea dei soci ha presentato il progetto che ci siamo impegnati a sostenere a favore del programma di riabilitazione «Napenda Kuishi» dedicato a ex ragazzi di strada che hanno vissuto nel dramma delle baraccopoli di Nairobi

«Grazie! Grazie a tutti voi soci della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, al vostro presidente, ai tanti amici che ho in questo territorio perché mi siete sempre stati vicini. Sin dai tempi in cui lavoravo negli Stati Uniti a quando sono arrivato in Africa, nel 2014. Il mio e il vostro è stato davvero un cammino condiviso, fatto insieme. Non mi avete mai lasciato solo. In inglese si dice “You never let me down”: non mi avete lasciato mai affondare. Mai lasciato andare a fondo, specialmente nei momenti più complicati, specialmente nei momenti difficili. E anche adesso avete risposto subito, quando ho detto e chiesto a Roberto Scazzosi che ho bisogno di fare un campo da basket perché non ci stiamo più. E da lì il discorso è cominciato e oggi sono qui con voi. Grazie». Così il missionario comobiano, padre Maurizio Binaghi, ha cominciato il suo intervento all’assemblea dei soci della nostra Bcc, quello in cui, grazie all’unione delle risorse della banca e del budget annuale destinato all’acquisto di medaglie celebrative, in questa occasione per i soci benemeriti dell’anno 2022, si è deciso di sostenere «Facciamo canestro», ovvero il progetto proposto da padre Maurizio per realizzare un campo da basket nella struttura residenziale che i missionari comboniani hanno in Kenya, nelle baraccopoli di Nairobi, e che ospita circa 400 ex ragazzi di strada del programma di riabilitazione «Napenda Kuishi», che in Kiswhaili significa «voglio sopravvivere».

Padre Maurizio è da quasi nove anni il responsabile del programma che concentra la sua attenzione su adolescenti e giovani che sopravvivono sulla strada, fanno uso indiscriminato di droghe e vivono di espedienti, ma anche di furti e rapine, spesso violente. Un programma che, dopo un’attenta analisi e uno studio della realtà locale, ha evidenziato come nelle baraccopoli vi siano ormai molte organizzazioni religiose e non che operano al servizio dei bambini di strada, mentre risultava poco servita e quasi abbandonata la fascia di età che va dai 14 ai 21 anni. «Cioè i ragazzi più abbandonati e rifiutati, anche proprio per il modo spesso violento con cui affrontano la realtà e sopravvivono – ha raccontato padre Maurizio-. Il 95% dei ragazzi nei nostri centri è tossicodipendente, fa uso di alcool, droghe psicofarmaci, allucinogeni o “sniffa” colla e diluente. Tutti i ragazzi che seguiamo vengono da situazioni davvero difficili, molti hanno vissuto sulla strada anche per più di 7 anni prima di venire da noi e la maggior parte è stata vittima di violenze di ogni genere, anche sessuali».

Le due baraccopoli di Nairobi, di cui padre Maurizio ci ha parlato nel corso della nostra assemblea dei soci, Korogocho e Dandora, insieme a quelle di Kariobangi e di Mathare, sono sorte negli anni 60-70 nella parte nord-est della città. Sono abitate da circa un milione e mezzo di persone che vivono in case fatiscenti, baracche di lamiere spesso senza luce, fogne e acqua corrente. Questo conglomerato di baraccopoli, in cui vivono (per dirla con padre Maurizio: «cercano di sopravvivere») 2,5 milioni di persone, è accerchiato dall’evoluzione incontrollata e senza senso di questa megalopoli africana, che costruisce a poche centinaia di metri dagli slum centri commerciali ultra-lusso e gigantesche autostrade.
«La nostra realtà è quella parte dell’Africa che i turisti non vedono. Un paio di mesi fa il presidente Mattarella è venuto in Kenya. Tra le proposte che l’ambasciata italiana gli aveva fatto c’era anche quella di visitare i nostri centri e la baraccopoli. Ma il governo del Kenya lo ha vietato: ha messo il veto sulla possibilità per il presidente italiano di venire nei nostri centri, altrimenti avrebbe visto la realtà che vogliono nascondere: quella delle baraccopoli -ha detto padre Maurizio in assemblea-. Nairobi ha 5 milioni di abitanti e 2 milioni mezzo vivono in baracche di lamiera e cartone e metà delle baraccopoli di Nairobi sono costruite su una discarica lunga 16 chilometri e larga quattro, dove le persone vivono sull’immondizia e dell’immondizia. Nel senso che la gente ogni giorno entra in discarica a raccogliere qualcosa da rivendere, da riciclare, da mangiare. Da un po’ di anni anche noi andiamo in discarica per incontrare i ragazzi. Sapete qual è il posto più ambito? Quello dove scarica l’aeroporto. In quel luogo la gente fa a botte per raccogliere l’immondizia migliore. Ricordo la scena di un ragazzino, avrà avuto 15 anni, che era riuscito a trovare un panino con le marmellatine che servono le hostess in aereo: si è seduto sull’immondizia, ha scartato il panino e prima di mangiare ha ringraziato il Signore. Ha detto: “ti ringrazio Signore per il cibo che mi dai oggi”. Vedere scene come questa ti cambia la vita e a me dà il significato vero dell’essere lì».

«Capiamoci: io non cambierò mai il mondo. Però dare dignità anche solo a uno o a due di questi ragazzi penso che sia la cosa giusta da fare: non la cosa cristiana, ma la cosa umana da fare -ha proseguito padre Maurizio-. Il nostro motto con questi ragazzi è dare speranza, amore e dignità. Perché la vita dell’essere umano nella baraccopoli non conta niente. Una volta uno dei miei ragazzi, Kevin, che adesso è a scuola e a dicembre si diplomerà idraulico, mi ha detto: “sai padre, io non lo so mica se ho ucciso o no una volta”. Gli ho detto, Kevin se non lo sai, probabilmente non l’hai ucciso. “No, non lo so. Ma l’ho buttato nel fiume e non l’ho più visto venire su”. Capite? Questa purtroppo è la realtà dei nostri ragazzi che fanno di tutto pur di sopravvivere. Come uomo, come persona, prima ancora che come cristiano e come prete, penso che non sia mia la responsabilità di giudicare. Certo, l’azione di uccidere o quella di rubare è sbagliata, senza alcun dubbio. Ma un conto è giudicare l’azione, un conto è giudicare la persona tenendo presente il perché, il contesto, la necessità di sopravvivere».
Tossicodipendenti e spesso vittime di abusi sessuali, come il 75% dei ragazzi di strada che vivono nelle baraccopoli, la maggior parte degli ospiti del “Napenda Kuishi Program” provengono dalla zona di Kariobangi, che include le baraccopoli di Korogocho, Huruma e Dandora. La riabilitazione da droghe di adolescenti e giovani richiede uno sforzo non indifferente, insieme a competenze serie, personale preparato e molta pazienza. Le terapie di recupero, le strategie e l’approccio messo in campo dai missionari sono basate sull’aspetto psicologico e non medicinale e i centri i funzionano come comunità terapeutiche, con percorsi individuali, pensati e implementati per meglio servire le esigenze ed i bisogni dei ragazzi. I centri gestiti dai comboniani e coordinati da padre Maurizio sono cinque e servono complessivamente circa 400 tra ragazzi e adolescenti. Oltre al complesso residenziale, di cui parleremo poi, due strutture sono situate a Korogocho e sono centri diurni di primo contatto, con gli operatori che girano le strade della baraccopoli e la discarica per incontrare i ragazzi, stabilire delle relazioni e invitarli a prendere parte al programma. C’è quindi la scuola tecnica, in cui i ragazzi ormai riabilitati possono imparare un mestiere: muratore, idraulico, elettricista, tornitore e così via. Di recente, poi, è stata aperta la “Half way house” (letteralmente “casa a metà strada”): un appartamento appena fuori dalla baraccopoli, ma sempre in una zona popolare, che serve da accoglienza temporanea per ragazzi ammalati o in situazioni particolari e in cui alloggiano dai quattro ai sei ragazzi più grandi che ferquentano la scuola, così da avvicinarli a condurre una vita indipendente.
«Aiutare questi ragazzi per passare dal “sopravvivere a qualsiasi costo” al vivere una vita dignitosa e basata sul lavoro penso sia la cosa giusta da fare. La cosa umana da fare e, per chi ci crede, la cosa cristiana da fare -dice padre Maurizio-. Ed è bello che nel fare questo uno come me non si senta mai solo. Perché la Bcc c’è sempre stata, tanti di voi ci sono stati e ci sono sempre. La parrocchia di Busto Garolfo c’è sempre stata. Tanti di voi forse non verranno mai in Kenia, non entreranno mai nelle baraccopoli con me. Ma se anche io ci entro solo, non sono da solo. Perché mi sento accompagnato in ogni passo da gente come voi, che mi sostiene, con l’affetto, i fatti, l’amore. E allora grazie perché continuate ad accompagnarmi. Grazie, perché se continuiamo a sognare tutti insieme, i sogni si avverano».
Come quello, appunto, il sogno del campo da basket che i soci della nostra Bcc realizzeranno nel centro residenziale dei comboniani di Ongata Rongai, che si trova a circa 15 Km da Nairobi e in cui vengono ospitati, normalmente per un periodo di un anno, una quarantina di adolescenti. «Tra le terapie riabilitative che mettiamo in atto nel nostro centro, l’aspetto sportivo ha una grande importanza -ci ha spiegato padre Maurizio-. Fare sport è infatti fondamentale per i ragazzi e i giovani che stanno non solo uscendo dalla droga, ma soprattutto re-imparando a socializzare e a stare in gruppo. Gli sport di squadra assumono quindi un’importanza fondamentale. Noi abbiamo costruito in maniera molto artigianale, tagliando l’erba e rimuovendo sassi e arbusti, un semplice campo delimitato da righe che ci consente di fare calcio e rugby. Anche per la pallavolo ci siamo arrangiati, piantando due pali e tirando una fune nella parte meno scoscesa dei nostri spazi. Ma il problema rimane il campo da basket, che è uno sport fondamentale per gli aspetti di squadra e del fare cose insieme e collaborare. Il basket, infatti, ha delle caratteristiche specifiche che lo rendono particolarmente attraente e utile al percorso di riabilitazione. Purtroppo, però, i costi per costruire un campo da basket, anche molto semplice, con il fondo in cemento, qui in Kenya sono davvero molto alti e vanno ben al di là delle nostre possibilità, anche perché dobbiamo concentrare le nostre già scarse risorse sulle terapie di riabilitazione, sul cibo e gli ambienti per i nostri ragazzi. Oggi, qui con voi -ha concluso in assemblea padre Maurizio- ho capito che per il campo da basket non ci dobbiamo più preoccupare e che il sogno, grazie a voi, sta per diventare una bella e importante realtà».

0 replies on “Dai nostri soci un campo da basket per chi ha un solo sogno: sopravvivere”