Se delle tante banche locali nate sul finire del diciannovesimo secolo solo una, la nostra, ha tagliato il traguardo del terzo millennio un motivo ci sarà pure»:
così il presidente della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate Lidio Clementi nell’introdurre la presentazione del primo volume di “Tra due fiumi”, la storia economica e del credito da fine Ottocento a metà Novecento, nel territorio compreso tra il Ticino e l’Olona. Per l’occasione venerdì 3 ottobre nell’auditorium donBesana si è tenuta una conversazione sul tema “Un territorio fra due fiumi” tra l’autore,Pietro Cafaro, professore di Storia economica e sociale alla Cattolica di Milano e lo storico economico Sergio Zaninelli, già rettore dell’ateneo di largo Gemelli; a moderare il giornalista Gianni Borsa, inviato a Bruxelles e Strasburgo dell’agenzia di stampa Sir di Roma, che ha condotto i due relatori lungo il tracciato del volume,dalle condizioni storiche che hanno portato alla fondazione della Cassa, sino alla svolta dell’istituto nell’immediato secondo dopoguerra.
Storia ben viva quella oggetto di conversazione, perché capitolo non chiuso, anzi; il primo volume della storia del credito cooperativo rientra a pieno titolo nelle iniziative partite oltre un anno fa, quando sono scoccati i 110 anni di vita del nostro istituto. Un libro aperto, quindi, ai nuovi capitoli che, giorno per giorno, l’attività dei nostri sportelli scrive, alle strategie che la Bcc elabora. Una per tutte, l’unione delle aree perfezionata l’anno scorso con l’apertura della 18esima filiale di Somma Lombardo e che -guarda caso- ricalca proprio il territorio indagato da Cafaro, quel “laboratorio naturale” di economia che rende Altomilanese e Basso Varesotto un unicum nel panorama non soltanto lombardo ma nazionale. «Si è arrivati a confermare che il territorio che oggi la Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate abbraccia è quella porzione particolarissima e unica di Lombardia in cui coesistevano prima agricoltura e manifattura, poi grande industria e artigianato, l’antenato della piccola-media impresa odierna» -ha notato Clementi.
«La costante storica di questo territorio è aver anticipato soluzioni in risposta a disequilibri economici -ha notato Cafaro-; non ci si piange addosso, si agisce. Spesso quello che qui si è sperimentato è stato poi esportato con successo. La crisi che interessa il nostro discorso è quella agraria della seconda metà dell’Ottocento. La povertà, le ristrettezze, qui non sono mai state subite, anzi; si sono trasformate in occasioni di riscatto». Che è esattamente quello che il direttore generale Luca Barni, nel suo saluto agli intervenuti, aveva sottolineato: «C’è infatti qualcosa di irriducibile, anche con il passare degli anni, dei tanti anni che ci separano dagli avvenimenti indagati dal professor Cafaro. È il quid del nostro territorio, della nostra gente; quell’atteggiamento che, in qualsiasi condizione, ha guardato con progettualità al futuro. Senza attendere, senza confidare fatalisticamente in tempi migliori, ma dando sostanza alle proprie intuizioni». Da una debolezza una forza quindi. E debole, questa zona, lo era davvero in quel secondo scampolo di Ottocento. «Si viveva malissimo -ha dichiarato senza perifrasi Zaninelli-: addirittura ai limiti della sopravvivenza per le fasce più povere che rappresentavano la quasi totalità della popolazione. Se si inquadra l’aspetto alimentazione il bilancio era in rosso: si spendevano più energie di quante se ne immagazzinassero». E se la difficoltà non diventa una resa ma una sfida, ecco la risposta: le casse rurali. «Un paradosso economico, questa istituzione che parlava di responsabilità illimitata e solidale -ha notato Cafaro-, figlia della grande crisi agraria di fine secolo che mise in ginocchio l’economia dell’epoca e specchio del sentire compendiato nella Rerum Novarum di Leone XIII». Il credito cooperativo rappresentava anche un canale per l’impegno nell’ambito sociale dei cattolici, estranei invece, in forza del non expedit, alla politica. «Non dimentichiamo poi il ruolo che i sacerdoti, i più giovani, assumevano in queste casse -ha sottolineato Zaninelli-. I preti erano figure guida all’interno della comunità ed erano una garanzia di buona condotta e di correttezza». Caratteristiche, queste, molto apprezzate in un’Italia che non viveva un momento tranquillo: nel 1898 il generale Bava Beccaris cannoneggiava a Milano la folla, l’insoddisfazione dei ceti più deboli cresceva, e i cattolici colsero questi umori. Nasce quindi da una felice intuizione di un gruppo di cattolici riuniti intorno a don Giovanni Besana la Cassa rurale di Santa Margarita, anche se non sempre i vertici dell’istituto seppero cogliere i segni dei tempi. «Ne è la prova l’atteggia mento di chiusura dello storico presidente della Cassa, Alessandro Grosso, nei confronti delle attività artigianali – ha spiegato Cafaro-.Grosso non aveva compreso che l’agricoltura, in questo territorio, era al tramonto: pensava che dovesse essere ancora il nerbo dell’economia.Il risultato fu l’eccesso di liquidità, la mancanza di impieghi, perché pochi erano gli investimenti in agricoltura e impossibili quelli nella nascente attività manifatturiera». Sarà, questa, la svolta compiuta dal successore di Grosso, Antonio Morandi, al timone della Cassa a partire dal 1955, anno in cui termina la prima parte dell’opera di Cafaro e che presenta una situazione radicalmente mutata rispetto a quella di partenza. Cambiamento rimarcato, nei suoi effetti, da Barni: «L’agricoltura non dava da vivere? Ecco le manifatture. La grande industria era colpita dalla crisi? Ecco degli operai rimboccarsi le maniche per cambiare pelle, diventare imprenditori; di se stessi ancor prima che degli altri. Ed ecco una banca, l’allora Cassa rurale, al loro fianco per trasformare l’idea in realtà, per dare credito al desiderio di fare impresa e di creare ricchezza e benessere sul territorio. Uno spirito, quello che ravvisiamo nelle pagine di storia del libro, che non si è smarrito». Dall’agricoltura all’industria verrebbe da dire, se Zaninelli non insinuasse un dubbio più che legittimo su questa lettura di comodo.
«Le difficoltà a comprendere l’evoluzione dell’agricoltura non furono esclusiva del presidente Grosso, bisognerebbe chiedersi: quale idea dell’industrializzazione si aveva negli anni Cinquanta? L’Italia è, oggi, un Paese costitutivamente industrializzato? È sufficiente disporre di una struttura industriale per dirsi tale o serve, come io credo, una forma mentis adeguata, una forma mentis che io, ancora oggi, non ravviso?» Dalla prospettiva storica, dai fenomeni di lungo corso, in questo caso, Gianni Borsa ha richiamato la conversazione alla più stretta attualità: «In quest’area l’economia è sempre stata concreta; cosa abbiamo da imparare in un momento che vede certa finanza sul banco degli imputati?». «L’economia reale e la finanza devono essere complementari, mai conflittuali; nel passato, nell’Altomilanese, si era registrato un caso di finanza spregiudicata -ricorda Cafaro-, quello della Banca di Busto Arsizio. Sotto la guida di Angelo Pogliani, l’istituto intraprese una politica espansiva che lo portò al collasso. Fu un caso isolato, ma esemplare per i rischi di una finanza speculativa, quella che basa la crescita sulla ricollocazione. La Cassa bustese, invece, ha sempre guardato alla concretezza». Nulla di nuovo sotto il sole comunque, se è vero come è vero che «già i genovesi, nel ‘600, provarono a fare denaro con il denaro, a dimostrazione della difficoltà, in alcune epoche, nel fare crescere l’economia reale e dando comunque l’illusione dello sviluppo», ha ricordato Zaninelli. A gettare il ponte con giorni più vicini ai nostri il discorso generazionale, quello che segna uno spartiacque nella storia dell’istituto e che marca la fine del primo volume di questa ricostruzione storica. «Con l’avvento di Morandi alla presidenza della Cassa cambia tutto – dice Cafaro-, prevalgono gli impieghi nel settore dell’artigianato e comincia la lunga fase di espansione sul territorio.
La seconda metà del XX secolo è quella in cui lo sviluppo ingrana le marce alte, le imprese sviluppano maggiori contatti e moltiplicano l’interdipendenza. Questo significa che, anche in ambito locale, perdono ogni senso i confini amministrativi, la rigidità di righe tracciate spesso senza alcun legame con la situazione reale dell’economia». Da qui ci si lancia nel cuore del secondo volume di “Tra due fiumi”, quello che arriverà a occuparsi dei giorni nostri, dalla crescita degli sportelli nei comuni limitrofi a Busto Garolfo alla sede attuale di via Manzoni, dalla fusione con l’omologa di Buguggiate all’unione delle aree, attraverso i diversi presidenti che si sono succeduti alla guida della Cassa prima e della ribattezzata Bcc in seguito.
La serata, cui sono intervenuti Soci e correntisti, si è conclusa con un rinfresco a buffet; è stato, questo momento, l’occasione per un primo scambio di impressioni sul volume e per le dediche di rito dell’autore, seriamente impegnato a firmare le tante copie che sono state distribuite. «Quando si ha un’idea, come la pubblicazione di un libro, si parte con delle intenzioni che possono trasformarsi. Se poi è un libro di storia, allora, per definizione, le scoperte possono essere dietro l’angolo. E così è stato per il nostro libro; si è pensato, insieme, un soggetto che legasse l’istituto al territorio», ha commentato il presidente. In questo caso, un libro che si richiama al 110decimo della banca ha acquistato una valenza supplementare, il ruolo che l’istituto ha giocato in un raggio di azione più ampio, che è proprio quello in cui si misura oggi la missione della Bcc. Questo a confermare che i passi mossi negli ultimi dieci anni erano già segnati in una trama storica di respiro più vasto. «Un caso? Un disegno? -ha concluso Clementi- In qualità di presidente della banca, importa sottolineare che delle tante banche che si trovano citate nella prima parte del libro solo una banca, nata con una vocazione locale, locale è cresciuta e rimasta. La nostra. Non so se sia un disegno. Di certo non è un caso»