“C’è sempre un po’ di timore di fronte ai punti di svolta, perché sembra che cambi tutto.In realtà, la nostra vita è breve e vediamo le cose nel giro di una generazione. Fossero con noi quelli che hanno fondato l’allora Cassa rurale di Busto Garolfo ci direbbero: state tranquilli, perché queste cose le abbiamo passate. Oggi si sta chiudendo un ciclo iniziato nel 1896, il primo congresso nel quale si parlò di casse rurali e della necessità di dare un coordinamento compiuto al movimento. Erano piccole banche, con problemi di gestione legati alle piccole dimensioni. Erano costituite da quasi nulla tenenti, avevano un sistema che doveva fare affidamento sulla responsabilità illimitata e solidale. Bisognava trovare il modo, con la coesione, di rendere efficiente il movimento. Si escogitò un progetto che fu portato avanti fino al periodo tra le due guerre. In zona c’erano parecchie casse rurali e dove c’era un nucleo importante di casse rurali si pensò di mettere una banca di secondo grado, quindi con una possibilità di capitalizzazione più veloce, che facesse da garanzia alle banche di piccole dimensioni. E nacque a Busto Arsizio la Banca del Piccolo Credito Bustese, cui le piccole banche delegavano una parte della propria sovranità gestionale. Oltre a queste banche di secondo grado si progettò di avere una o più banche di terzo grado che fossero il cappello di tutto il sistema. Se ne fondò una nel 1898 a Milano con questa funzione, il Banco Ambrosiano. Questo processo di costruzione di sistemi con banche di livello basso, di secondo livello, di terzo livello, caratterizzate da una diversa forma di garanzia data dal patrimonio, che poteva essere più o meno facilmente raccolto, e con una capacità di essere presenti sul territorio in misura differente, durante il periodo tra le due guerre si bloccò. La legge bancaria del 1936 e il testo unico che venne fatto per le casse rurali subito dopo tolsero di mezzo questo sistema; ingessarono il sistema bancario, diedero a ognuno la propria funzionalità precisa togliendo di mezzo queste strutture di coordinamento. Questo sistema è durato fino al ’93. Dopo il ’93 è avvenuto il cambiamento; da quel momento occorreva una riforma che riprendesse il progetto antico e mettesse il cappello sopra il sistema. Oggi si va in questa direzione; quindi non è che cambi chissà cosa; si consolida un sistema autonomo che vuole rimanere autonomo, che vuole rimanere legato al territorio, che vuole rimanere ugualmente dei soci, ma al tempo stesso con le capacità di garantire solidità a se stesso e a tutto il resto del sistema. Qual è l’alternativa? L’alternativa è andare in ordine sparso e andando in ordine sparso si rischia moltissimo. Si rischia sempre di più e si rischierebbe di cadere come quello che cercarono di evitare nel 1896 gli uomini di quell’epoca di fronte a una grande crisi bancaria. Oggi la crisi va avanti, la crisi dura, stiamo vedendo probabilmente il momento di uscita, ma è una crisi che alla fin fine si ripercuote su coloro che sono all’interno dell’intermediazione, tra chi chiede i capitali e chi deve investire, e proprio quell’interconnessione può fare la funzione in una grave crisi di articolazione, come quando invecchiamo e diventiamo più fragili, anche nel muoverci. Per cui nessuna paura: dal mio punto di vista ritengo che sia una direzione giusta quella che si sta prendendo, nessuna paura perché i valori, i valori del credito cooperativo, i valori che hanno perseguito i nostri nonni continueranno a essere presenti”.
Gli altri interventi
Trasformiamo la crisi in opportunità
Massimo Galli, vice presidente Confcooperative Insubria
“Tre mi sembrano i punti cui accennare: il 28 febbraio Papa Francesco ha voluto ricevere le banche di credito cooperativo e Confcooperative per un mandato fortissimo. Ha detto che il denaro è lo sterco del diavolo, ma ha detto anche: investite e investite bene. Il Papa che viene dalla fine del mondo sa benissimo qual è il ruolo e quale può essere il peso del credito locale, perché da loro il micro credito fa la differenza tra la miseria e una povertà virtuosa. Ha dato un mandato tremendo dicendo: il denaro è come lo si usa. Il mandato riguarda tutti; riguarda la dirigenza, ma riguarda i soci. Secondo, il mondo cooperativo: quando sono chiacchierate un paio di cooperative sono chiacchierate tutte le cooperative. E questo ci dà un ulteriore mandato fortissimo; la buona cooperazione si deve caricare sulle spalle l’intero mondo cooperativo facendo vedere che le buone prassi, il buon andamento sono la nostra cifra. L’ultima cosa che voglio dire è sul progetto di autoriforma. Non dobbiamo averne paura. Come Confcooperative Varese siamo partiti da una situazione di crisi e l’abbiamo fatta diventare un’ opportunità. Un po’ come dice Papa Francesco: uno più uno fa tre. Per voi è già successo molti anni fa: uno più uno fa tre. Eravate due banche di interesse inferiore e siete diventati una banca che è più della somma delle due. Io credo che anche in questo processo di autoriforma è opportuno si diventi protagonisti per evitare di diventarne vittime. Ringrazio voi tutti per il lavoro che avete fatto e accolgo con grande piacere il fatto che una piccola svolta è cominciata. Io sono sicuro che sarà l’inizio di un nuovo rinascimento di queste cose: speriamo.”
Serve trasparenza fra imprese e banca
Davide Galli, presidente Confartigianato Varese
“Il futuro prossimo si chiama autoriforma In chiusura di Assemblea è stato proiettato il video di Federcasse che illustra i cardini della svolta che interesserà a breve il mondo del Credito Cooperativo “Stiamo vedendo dei segnali di miglioramento, ma come imprenditori c’è ancora molta paura, perché se è vero che qualcosa questo governo sta facendo -vediamo con favore il Jobs Act- mancano altri pilastri che potrebbero essere motori di ripresa. Mi riferisco alla pressione fiscale, e anche a un approccio verso il mondo dell’impresa; questo non solo del Governo, ma direi più in generale del sistema Paese, soprattutto verso la piccola impresa. C’è ancora molta diffidenza, non ci è riconosciuto quello che a parole viene detto: poco si fa per le piccole imprese. Cito un dato del nostro centro studi e di Artigianfidi Lombardia: se negli anni pre-crisi un terzo era richiesto per la liquidità a breve, un terzo per la liquidità a medio termine e un terzo per gli investimenti, oggi il 70% circa è chiesto per liquidità a breve, il 10% per gli investimenti e il 20% per il medio termine. Sono segnali non incoraggianti; però, siccome voglio portare un messaggio di fiducia, come possiamo metterci a livello delle nostre imprese per aiutarle nei confronti del mondo del credito? Scendiamo di livello, stiamo al loro fianco, aumentiamo la consulenza. Ci lamentiamo delle banche, però dobbiamo essere anche onesti e sinceri quando andiamo a confrontarci con loro; dobbiamo essere noi sinceri per primi. Rappresentare, raccontare tutta la nostra impresa nelle bontà e nelle criticità; dobbiamo dire la verità sulla nostra situazione per poi poter esigere, in base a quella che è la nostra reale situazione. Alle banche cosa chiediamo? Di essere sincere e trasparenti con noi e di avere quel rapporto di vicinanza con l’impresa, di venire nell’impresa come era negli anni passati.”