Tra l’incudine e il martello. Tra una crisi dei mercati internazionali e una serie di provvedimenti che pesano sui bilanci, le Banche di Credito Cooperativo sono in questo momento gli istituti più penalizzati pur continuando a rimanere, per missione e valori, ancorati al proprio territorio di riferimento. Già i provvedimenti che sono stati introdotti con le manovre finanziare l’ultima estate hanno colpito le Bcc in modo particolare. Infatti, l’aumento del prelievo impositivo ai fini Ires in aggiunta all’aggravio Irap ha generato un danno grave ed immediato andando a colpire un sistema -quello delle banche locali cooperative- che dallo scoppio della crisi ha svolto con coerenza il proprio ruolo “anticiclico”, facendo davvero sforzi straordinari per consentire a centinaia di migliaia di famiglie ed imprese di sostenere l’urto della crisi. Come aveva denunciato il Sistema del Credito Cooperativo parlando di un «provvedimento che priva le Bcc di una fonte di capitalizzazione importante, proprio in un momento in cui tutte le banche ne hanno maggiormente bisogno. Le Bcc, difatti, non hanno altri mezzi di rafforzamento patrimoniale e non possono -a differenza delle banche spa- ricorrere al mercato». Inoltre, l’attuale quadro internazionale con l’aumento dello spread ovvero il differenziale di rendimento tra i due titoli governativi a tasso fisso emessi rispettivamente dalla Germania (Bund) e dall’Italia (BTp), sta pesando sui bilanci delle banche locali. Davanti al triplo declassamento imposto all’Italia, il problema è di crescita. Come ha detto il direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d’Italia, Daniele Franco, intervenendo alla Giornata del credito in Abi nello scorso settembre: «L’Italia è percepita come un Paese che ristagna». Ha aggiunto: «La politica economica è percepita come confusa, conflittuale. L’Italia non appare un Paese compatto dietro le misure e le riforme da fare. Non si percepisce uno sforzo adeguato nelle misure per la crescita». Ed è infatti il rilancio economico che non permette all’Italia di avere fiducia sui mercati. Così, per riuscire a collocare i titoli di Stato -necessari per portare il Paese al di là del muro della crisi e mantenere gli impegni assunti in Europa- i rendimenti sono stati alzati. È un meccanismo normale: un maggiore rischio deve essere premiato con un più alto rendimento. Ma questo meccanismo ha influito negativamente sul sistema bancario e, di conseguenza, sulle famiglie e sulle imprese. Soprattutto in un momento in cui i grandi istituti di credito hanno visto perdere importanti quote del loro valore azionario.
Chi ha sofferto maggiormente di questa situazione è stato il sistema del Credito Cooperativo; ovvero le piccole banche, quelle che per storia e statuto vivono a stretto contatto con il territorio e si basano nella loro attività sulla raccolta. Lo spread dei BTp sui titoli di stato tedeschi si è allargato portando verso l’alto i tassi di interesse. Si è innescato un circolo che punta tutto al rialzo: rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato, rialzo dei rendimenti proposti dalle banche. L’essere “differenti” per storia e per valori, l’essere attaccati al locale e vivere per il proprio territorio non viene premiato. La banca, intesa come istituto tradizionale quindi legato in maniera profonda alla ricchezza delle imprese e delle famiglie, passa in secondo piano. Gli istituti di credito come le Bcc che vivono grazie alla raccolta e sono pronte a reinvestire sul territorio si trovano a competere ad armi impari. In più, gli investimenti fatti in sostengo delle imprese e di quell’economia reale che rappresenta la vera ricchezza, diventa quasi un fardello. «È un sistema bancario che ha perso la bussola e che non sa più come assolvere al proprio ruolo di sostegno dell’economia», osserva il direttore generale della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, Luca Barni. «La situazione non è semplice e il rischio è che queste difficoltà si possano ritorcere contro le famiglie e le imprese; contro la redditività di un istituto di credito e, di conseguenza, contro un intero territorio, ovvero quel territorio che è sempre stato il punto di riferimento, anche attraverso una serie di erogazioni che nel tempo sono sempre state garantite, per un istituito di Credito Cooperativo». Se alcune banche si sono semplicemente servite della leva dello spread -portandolo alle stelle nell’arco anche di poche settimane- per “defilarsi” dal mercato e rinunciare per il momento ad erogare finanziamenti e mutui; altri istituti hanno inserito meccanismi più rigorosi per l’accesso al credito. Le Bcc sono quelle che maggiormente pagano questa situazione di squilibrio. La via d’uscita è ancora tutta interna. È una via d’uscita che passa da soluzioni chiare di rilancio dell’economia che possano consentire anche al Credito Cooperativo di sostenere l’economia reale del proprio territorio. Come ha infatti ricordato il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel suo intervento al convegno internazionale per l’Unità d’Italia, lo scorso 12 ottobre: «È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani». Una soluzione che passa nuovamente da chi non ha fatto finanza fine a stessa, ma ha guardato al territorio, alle sue famiglie e alle sue imprese, per dare le possibilità di una ripresa.