Ho concluso l’assemblea di maggio citando il discorso sulla cooperazione tenuto da papa Giovanni Paolo II nel 1986. “Si può dire che la novità dell’esperienza cooperativistica -diceva il Pontefice- risiede nel suo tentativo di sintesi tra la dimensione individuale e quella comunitaria. In questo senso è una espressione concreta della complementarietà, che la dottrina sociale della Chiesa ha sempre tentato di promuovere fra la persona e la società. È la sintesi fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune. Si tratta però di una sintesi che non si situa solo sul piano economico, ma anche su quello più vasto dei beni culturali, sociali e morali che arricchiscono e modellano una società degna dell’uomo”. Io credo che in questo piccolo brano ci sia il faro del nostro agire, la filosofia a cui in questi anni ci siamo ispirati, la meta a cui la nostra Bcc deve tendere. Quando diciamo che siamo un “valore” per il territorio a cui facciamo riferimento, vogliamo dire tutte le cose riassunte da papa Giovanni Paolo II, vogliamo indicarci un cammino, vogliamo metterci al servizio degli altri, assieme agli altri, a realizzare una società migliore in cui vivere e in cui far crescere i nostri figli. E questo, nella pratica, significa essere banca che sa ascoltare, aiutare e, se il caso, rischiare sulle persone e sulle idee. Significa, in un momento di crisi economica, fare la nostra parte perché questo territorio possa crescere, attraendo energie e risorse e sostenendo i nostri imprenditori. E significa, soprattutto, lavorare in unità tra di noi per allargare i confini dell’idea cooperativistica.
di Silvano Caglio